Foro di Traiano


Una volta abbattuta la collina il foro viene costruito, in questo caso la piazza ritorna ad essere protagonista, ci sono i motivi delle esedre (apparsi nel foro di Augusto), però il modo e la sequenza con cui appaiono gli elementi crea un movimento inusuale (rispetto all’unidirezionalità che abbiamo visto nei fori precedenti), creato da tutta una serie di cambiamenti di assi durante il percorso ma anche grazie ad una serie di livelli con una sorta di movimento ascensionale che serve a rendere culminante il percorso. Si entrava da un ingresso colonnato quadrato che immetteva dentro la grande piazza con al centro una grande statua equestre di Traiano e lateralmente porticata (in alzato simile al foro di augusto), attraversava la piazza fino ad incontrare la parete della struttura della basilica Ulpia (che si pone trasversalmente all’asse principale), dopo si incontra la parete diaframmata dalla quale si poteva vedere la base della famosa colonna traianea dove era raffigurata l’impresa della sottomissione dei Daci (che fino ad allora avevano dato filo da torcere ai romani, dopo la conquista paradossalmente i Daci assimilano molto dai romani). 
Questa disposizione spaziale così particolare crea una situazione particolare molto in linea con le tendenze spaziali dell’epoca però pone una serie di interrogativi per quanto riguarda la fonte di ispirazione di questo modulo adottato, la giustificazione principale è il rimando alla vita di Traiano, un imperatore molto legato alla vita militare, quindi abituato alla vita di campo, che per i romani aveva delle regole ben precise, infatti quando si accampavano i romani si disponevano seguendo un’ordine prestabilito dove la tenda dell’imperatore si poneva trasversalmente alle tende dei dignitari e dietro la tenda erano disposti degli ambienti che fungevano da archivi, mentre al centro le insegne imperiali. Traiano traduce un’impianto mobile in uno stabile in pietra, ma non si tratta di una semplice trasposizione perché l’impianto sottende un messaggio ideologico preciso, quello di richiamare i romani ad una vita sana, che secondo Traiano era quella militare, infatti riteneva che la vita di quell’epoca (della prima età imperiale) era piuttosto dissoluta, principi che Traiano collega alla vita militare e ai periodi più antichi come quello repubblicano (vuole comunicare che quando i romani erano di sani principi erano riusciti in grandi cose; un atteggiamenti che gli imperatori spagnoli hanno, anche Adriano). 
 In questo caso nel piano attico, allo stesso modo di Augusto, sopra le colonne si trovano i Daci sottomessi e le figure più importanti di Roma, tutto costruito con marmi molto preziosi. 
La basilica è molto grande, si tratta infatti di cinque navate, ma ciò che è importante è che è trasversale all’asse principale e termina con due esedre sui lati corti (anch’essa ricca di marmi molto diversificati e con un disegno ben preciso); dalla basilica è possibile vedere l’ambiente della colonna e a fianco della colonna si trovavano le biblioteche greca e romana. 
Adriano per deificare il padre aggiunse nella zona posteriore una parte ancora più sopraelevata che è una grande piazza circondata da due corridoi voltati a botte (da una parte muro continuo e dall’altra le colonne); punto di congiunzione il tempio dedicato a Traiano.

Foro di Nerva

Si inserisce in uno spazio di risulta non ha una originalità di impianto e sopratutto ripete il motivo apparso nel foro di Ottaviano e sopratutto nel foro dei Flavi anche sugli altri lati del foro, l’unico elemento importante è la presenza della esedra esterna, che rappesenta una sorta di luogo di accoglienza e di collegamento tra la parte del foro e la zona della suburra, il tempio è dedicato a Minerva.

Foro dei Flavi


Il terzo foro è quella della pace ed occupa la zona del macellum, questo foro presenta un’ordinamento molto diverso, cioè presenta sempre una piazza centrale come gli altri fori ed il tempio, tuttavia la loro disposizione è molto diversa, perché mentre nei primi le piazze erano tutte lastricate qui all’interno si trovano tutta una serie di aiuole che modificano la piazza stessa, intorno un porticato che si sviluppa su tre lati, perché sul lato dell’ingresso principale, sia sul lato interno che su quello esterno, viene adottato un partito decorativo particolare. Il tempio principale è affiancato da ambienti in origine destinati a biblioteca (questo foro è tutto sotto terra l’unica rimasta ancora intatta corrisponde alla attuale chiesa dei santi Cosma e Damiano; che nasce dall’aggregazione di una delle biblioteche con l tempietto di Romolo), questo ambiente insieme a quello con quello vicino erano molto famosi perché appesi sulle pareti si trovavano delle lastre sulle quali era scolpite la pianta di Roma; queste lastre non sono coeve al foro ma sono del III secolo e ciò si deve ai Severi (attraverso queste lastre è stato possibile ricostruire gran parte della Roma antica); nell’edificio centrale sono invece conservate le suppellettili portate del tempio di Gerusalemme. 
Lungo i lati sono presenti delle nicchie sottolineate da due colonne, sono degli ambienti che venivano chiamate diedre ed erano delle zone dove trascorrere il giorno, in genere erano molto semplici oppure arredati (in alcuni casi erano presenti delle fontane). Interessante capire per quale ragione i flavi abbiano introdotto le aiuole e poi l’ordinamento parietale della parete interna e quella esterna nel lato non porticato. 
Il perché in Flavi introducano questa particolare pianta è probabilmente dovuta alla volontà di esaltare la propria dinastia, infatti i Flavi prendono come modello dall’Asia minore una tipologia di struttura chiamata Heron, che consisteva nel luogo di sepoltura dei fondatori delle città (in genere alla morte di un fondatore di una città questo veniva deificato e gli veniva concessa una sepoltura particolare in genere una sepoltura circondata da un’area verde), quindi prendono a prestito e vogliono glorificare la loro dinastia che secondo questa logica sarebbe immortale, oppure come può essere intesa come una rifondazione od una rinascita della città dopo la morte, in questo caso i flavi sarebbero i portatori del rinnovamento politico e morale di Roma. 
L’altro problema è quello di spiegare la grande novità dell’uso dell’ordine staccato dal muro, le colonne infatti sono staccate dal muro da una distanza non molto ampia e inoltre sono collegate in alto con una trabeazione che collega la colonna con il muro sovrastante; una disposizione di questo tipo ovviamente contrasta con la disposizione tradizionale (nel mondo greco la colonna aveva un significato tettonico e portante), in questo caso la colonna perde il suo significato costruttivo  e diventa solo decorazione. Questa decisione di costruire in questa maniera può essere considerata come una presa di posizione della cultura romana che si svincola da quella greca che fino ad allora era vista come superiore (una ricerca di creare stupore e di creare nuove vie di ricerca, travisando però i principi sacri della tradizione), questa innovazione non venne accettata molto volentieri e subito dopo questo intervento, con la costruzione del foro di Nerva, l’architettura romana rientra nei binari antichi (cioè la colonna ritorna ad essere portante).

Foro di Augusto

Il Foro di Ottaviano Augusto
Sorge perpendicolarmente all’asse del foro di Cesare, viene inaugurato in seguito alla uccisione di Bruto e Cassio, che avevano ucciso il padre (dopo un lungo inseguimento Ottaviano gli incontra nella città di Filippi dove avviene lo scontro tra i due eserciti) e per commemorare l’evento viene anche costruito il tempio di Marte Untore (che significa Marte Vendicatore). Questa composizione presenta un grande muro nella parte retrostante (alto circa 30m) che serviva da sbarrare il foro dalla suburra (in modo che le sommosse o gli incendi che si sviluppassero nella suburra si spostassero nel foro), tra suburra ed il foro c’era un dislivello non molto alto, ma si utilizzavano delle scale, che introducevano alla piazza dopo aver superato due archi trionfali che inquadravano il tempio, il quale si presenta con le tipologie consuete ma ancora più ricco perché si può parlare di una apoteosi del marmo (nessuna parte è in pietra) e tra i marmi utilizzati vi era anche quello di Carrara (che comincia a diventare quello più) e altri marmi preziosi come quello cipollino. Il porticato evoca la disposizione di quello di Cesare però si presenta con una disposizione più arricchita dovuta alla presenza di due esedre laterali, schermate dal portico in modo tale da filtrare la visuale (il visitatore percorrendo la piazza verso il tempio lo sguardo veniva attirato anche ai lati dovuto alla presenza di questi elementi che si presentano in una maniera non perfettamente definita (perché sono in ombra ma allo stesso tempo hanno delle zone al sole), creando dei contrasti chiaroscurali che introducono una sorta di dinamismo spaziale che manca nella visione prettamente assiale del foro di Cesare, che porta ad una monumentalità statica che non si ha nel nuovo foro; questa visione è quella che i romani iniziano a portare avanti e tutti i foro successivi tengono conto di questa esperienza. 
Tutto l’insieme è permeato da una ideologia molto chiara, ovvero quella di inaugurare l’inizio di un’epoca nuova di pace e prosperità e vuole mandare un messaggio chiaro che anche la pace può essere raggiunta attraverso l’elevazione culturale della popolazione, queste sue ideologie le manifesta in maniera nelle soluzioni che adotta nel porticato, l’attico rappresentano della cariatidi (simbolo della cultura) e con degli scudi che ricordano la conquista dei Parti (una popolazione che non accettava la sottomissione romana). Il tempio di Marte Untore e dietro il grande muro, nel porticato che precede l’esedra erano collocati dei gruppi statuari con delle lapidi che esaltano le qualità del personaggio raffigurato nella statua, per permettere ai romani di guardare a questi come degli esempi da seguire; all’interno, in una stanza prossima al tempio, si trovava la statua di Augusto.

Foro di Cesare


Il foro voluto da Giulio Cesare si trova proprio a ridosso del foro romano, delimitato dalla via che arriva alla piazza del foro e da alcune case che si affacciano sempre sulla zona del foro, ma che lascia invariate in quanto fungono da scale che servono a collegare la scala con il livello del foro; l’ingresso principale invece di trovava sul lato minore, dove poi si aggiungerà il foro di Nerva. 
Il foro è costituito da una grande corte centrale circondata su tre lati da porticati doppi, chiusi sul quarto lato da un tempio dedicato a Venere Genitrice (dietro il quale si trovava ancora la collina che collegava Campidoglio e Quirinale e quando viene abbattuta viene collocata vicino la basilica argentaria, ovvero una scuola dove venivano educati i figli della famiglie più importanti, in età traianea); un tempio che presenta gran parte delle caratteristiche trovate sul Campidoglio, si tratta infatti di un tempio sine postico (con degli accenni di alette, ma non sono molto pronunziate), tuttavia presenta una forma diversa rispetto alla forma canonica perché è presente una specie di absde nel lato posteriore della cella; che nella architettura templare romana indica una importanza maggiore rispetto a quelli che hanno una terminazione retta, perché significa è una sede imperiale, anche se in questo caso Cesare decide di non mettere la propria statua per non apparire come un tiranno (infatti questa associazione all’imperatore verrà molto più tardi), quindi mantiene la statua di Venere e colloca la propria all’esterno (la posizione delle due statue ha una intenzionalità ideologica precisa cioè le due statue sono tra loro correlate con l’intenzione di voler comunicare che la sua dinastia a origini divine, infatti Giulio Cesare si riteneva figlio di Enea, il quale era figlio di Venere). Questo impianto così particolare introduce uno schema nuovo nella Roma di allora (in quanto in genere l’architettura romana aveva cercato fino a quel momento delle architetture più ricercate attraverso l’uso dell’arco, reso possibile dall’utilizzo dell’opera cementizia), in questo edificio troviamo una struttura rigidamente simmetrica che attrae il visitatore verso il tempio secondo un modo di progettare più vicino ai modi compositivi ellenistico (Egitto, Siria, Asia minore, nati dalla disgregazione del regno di Alessandro Magno, dove si costruivano edifici simmetrici con l’obbiettivo di per indirizzare lo sguardo verso la casa del sovrano, un tipo di edificio chiamato sebasteion, che significa casa del signore). Certamente Cesare conosceva questo tipo di struttura essendo amante di Cleopatra ed era anche stato ad Alessandria (dove appunto si trovava uno di questi edifici), pensa che quel tipo di edificio sia adatto ad esprimere la sua ideologia politica ed il suo volere. 
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La costruzione è prevalentemente costituita da marmo giallo, un materiale molto prezioso in quel periodo; sono presenti colonne di ordine corinzio e riprendono decorazioni greco ellenistiche, il corinzio infatti si adatta di più alla mentalità romana sia per la sua ricchezza decorativa ma sopratutto non volevano incorrere in problemi dal punto di vista formale, infatti il capitello corinzio permetteva la visione da tutte le angolazioni, i romani erano piuttosto pratici e non avevano mai provato a risolvere problemi raffinati come quelli dei greci; il capitello corinzio era poi il capitello che era stato accolto con grandi favori da Silla (che aveva portato dal tempio di Zeus e dell’Olimpeion di Atene). 
Nel medioevo il foro di Cesare divennero meta di pascolo ma le costruzioni aggiunte non intaccarono quelle esistenti, solo nel 500 600 avvenne un momento di depredamento per la costruzione della basilica di San Pietro con Giulio II e i Barberini, i quali permisero il prelevamento di tutti i marmi che venivano utilizzati per la costruzione oppure cotti per ottenere la calce; solo dopo l’unità d’Italia si pose ordine a questa situazione.

I fori imperiali

I fori imperiali si sviluppano parallelamente al foro romano, che presenta dei caratteri distinti da esso, il foro romano infatti raduna edifici con diverse epoche storiche (dall’età regia sino all’età imperiale), un insieme che va letto nelle loro stratificazioni storiche (infatti si cercava di utilizzare al massimo tutto lo spazio disponibile perché essendo il foro il centro della città era anche la zona maggiormente ambita per le attività commerciali ma anche per motivi di ordine glorificante); confinava con il foro, prima che i fori imperiali venissero costruiti, un’aggregato di insulae che formava l’area della suburra (un quartiere piuttosto malfamato, mentre la classe aristocratica abitava nel palatino o nelle zone più alte e più salubri); quindi la parte tra i fori ed i colli ad est era occupata dalla suburra e dall’equilino. 
Dovendo Giulio Cesare (intenzionato a realizzare grandi opere per ingraziarsi la popolazione, nella fattispecie il suo foro) doveva scegliere un’area che potesse essere rappresentativa ma non lontana dal foro, l’unico modo per ottenere questo scopo era quello di acquistare le insulea dalla plebe, perché Cesare (ma anche Ottaviano) non aveva un potere così forte e se anche lo aveva non lo esercitava per non apparire come dittatore come era stato accusato, per questa ragione procede (come farà anche Ottaviano) all’acquisto di queste aree che pagarono davvero molto (la plebe capiva la situazione e per questo richiedeva somme elevate; abbiamo notizie sicure da Cicerone, coetaneo di Cesare). Espropria un terreno vicino al foro che si addossa sul clinus capitolinum (cioè la strada che sale per arrivare al Campidoglio), una fascia di 30 metri per non più di 100 (si tratta quindi di una zona modesta), infatti l’estensione era impedita da una collina che collegava il Campidoglio al Quirinale (una collina che tra l’altro impediva la visione dal tempio di Venere della parte retrostante, lo diventerà visibile quando Traiano la farà smantellare).
Cesare darà avvio a queste trasformazioni monumentali seguito da Ottaviano Augusto (il figlio adottivo), che costruisce nello stesso modo (pagando gli espropri delle insulae) ma lo pone trasversalmente al primo (sia Cesare che Ottaviano avevano a disposizione ingenti quantità di denaro essendo entrambi tornati vittoriosi dalle campagne all’estero). I primi due fori presentano sostanzialmente delle affinità relative all’impianto e al modo di liberare la zona, anche se si differenziano per alcune novità introdotte dal secondo, infatti il primo foro è ancora legato a schemi ellenistici mentre il secondo si sviluppa su una impronta tipicamente romano. 
La situazione rimase invariata finché il Flavi diventano imperatori, i Flavi governano dal 69 d.C. al 96 con Vespasiano, Tito e Domiziano, i tre imperatori ma sopratutto Domiziano è quello più attivo dei tre, perché Vespasiano era il primo imperatore e quindi era impegnato nella opera di ricostruzione dopo l’incendio neroniano (perché Nerone non aveva potuto realizzare molte opere perché era morto pochi anni dopo e si concentro sulla sua casa); il secondo imperatore, Tito, governa per solo due anni (dal 79 al 81), rimane comunque un imperatore di una certa rilevanza storica in quanto compie la conquista di Gerusalemme (con il famoso tempio di Salomone per sottomettere gli ebrei), portando a Roma tutti gli oggetti preziosi contenuti nel tempio di Salomone per esporli nel foro che la famiglia voleva costruire, questo si concretizza con un esproprio pubblico della zona del macellum, quella struttura che aveva accolto tutte le taverne che affollavano la piazza del foro e che adesso viene abbattuto e risistemato con il terzo foro che chiamiamo templum pacis o foro dei Flavi. 
Alla fine del I secolo dopo Cristo la situazione dell’area vedeva la costruzione del foro di Cesare, quello di Ottaviano e poco distante quello dei Flavi, rimaneva libera un corridoio che consentiva di collegare il foro alla suburra. Quando viene completato il foro dei Flavi, 96 d.C., questa area di collegamento rimaneva vuota, subito dopo viene occupata intorno al 98 dal foro di Nerva, che occupa la zona che prima era una strada e determina la chiusura del collegamento tra il foro e la suburra. Anche Nerva governa per due anni, infatti è una figura piuttosto opaca, primo imperatore spagnolo, era arrivato ad essere imperatore per una successione molto complicata, anche se inaugurando una dinastia molto importante. 
Dopo il 98, quando muore Nerva, gli succede Traiano, dal 98 al 117, e poi dopo regnerà Adriano (che regna dal 117 al 138); un’epoca molto fiorente per Roma, che sotto Traiano l’impero raggiunge la sua massima estensione conquistando tutta l’Arabia; Adriano invece era molto diverso dal padre era un uomo di studi (aveva studiato ad Atene), questo carattere lo mantenne sempre e viaggiò moltissimo con un atteggiamento molto diverso dal padre era piuttosto mediatore; vedremo come queste personalità incisero molto nell’edilizia, Adriano si vantava di essere architetto e litigava con tutti gli architetti sopratutto con Apollodoro di Damasco (di cui ad un certo punto si perdono le tracce).
Traiano assume il governo e vuole anche lui creare un nuovo foro, solo che non c’era più spazio perché c’era la collina (collis selatialis (?)), quindi pensa che l’unico modo sia abbattere questa collina (l’imperatore ha ormai una autorità non discutibile quindi poteva permettersi opere di questa grandezza senza trovare voci contrarie), opera questo taglio e ottiene un’area libera che gli consente di sistemante il suo foro di grande estensione, inoltre l’operazione di taglio si rivela fondamentale perché viene abbattuta ogni barriere nel processo di espansione dalla zona della suburra verso il campo Marzio (che fino ad allora aveva una edilizia di basso profilo). Insieme con questo taglio si attua la messa in opera dei mercati Traianei (che possiamo considerare parte integrante dei fori), che nascono per una ragione molto pratica, infatti il taglio della collina era avvenuta formando dei terrazzamenti, perciò si pensò di utilizzare questi terrazzamenti per creare i mercati sui vari terrazzamenti ognuno con una sua distribuzione d’uso, si tratta quindi di una struttura polifunzionale perché all’intero di svolgevano attività diversificate (tra l’altro nella sala traianea lo stesso imperatore distribuiva dei beni per tenerseli buoni). Infine si sviluppa nella zona anche della edilizia residenziale medio-borghese.

  1. Il foro di Giulio Cesare
  2. Il foro di Ottaviano Augusto
  3. Il foro dei Flavi
  4. Il foro di Nerva
  5. Il foro di Traiano


Il foro romano, il Campidoglio e l'evoluzione di roma

Come abbiamo detto l'attività svolta dai primi sette re di Roma aveva trasformato l'insediamento da un semplice pagus (un semplice villaggio) ad una città vera e propria, in questo processo particolare importanza ebbero i tre re etruschi (suscitando in questo modo la preoccupazione della confederazione laziale era formata da una serie di città che temevano la graduale crescita della città di Roma). Questa presenza etrusca si manifesta particolarmente nell'opera di bonifica, in maniera tale da favorire l'integrazione tra le popolazioni dei vari colli creando una confederazione latino-sabina, che si contrapponeva e quella esterna ladina. Questa opera di riqualificazione si manifesta in maniera particolare nella valle del futuro foro (la valle compresa tra il Palatino ed il Campidoglio), che in quel momento era un luogo in cui ci si incontrava per discutere sulle sorti della città sulle azioni da intraprendere; le condizioni di questo luogo non erano invasi dal punto di vista fisico poiché oltre ad essere un'area acquitrinosa era stata adibita fino a quel momento a necropoli (cioè come cimitero). Fu Tarquinio Prisco ad iniziare l'opera di prosciugamento di questa zona acquitrinosa avviando la costruzione della cosiddetta cloaca maxima (ovvero una struttura che consentiva la raccolta delle acque trasportandole direttamente al Tevere); questo prosciugamento dell'area aveva portato alla costruzione della prima pavimentazione della valle del Foro, intorno al 600, pavimentazione che costituiva anche la cosiddetta Via sacra, che costituirà anche in futuro l'ossatura di questa parte della città. Non a caso lungo la via sacra erano collocati tutti i poli principali del potere di Roma o che comunque rappresentano l'ordinamento di quel periodo, non solo regio ma anche l’inizio della età repubblicano (come riportato dalle fonti, in particolare da Tito Livio), si tratta del comitium (inizialmente quadrato poi circolare) e la regia, il primo rappresenta il polo politico poiché in questo luogo si riunivano i rappresentanti le varie tribù (divisi in distretti che si chiamavano curia) che costituivano la città (con elementi latini, greci, etruschi, eccetera), la curia ostilia (dal nome del committente Tulio Ostilio, terzo re di Roma) invece era il luogo dove si legiferava, dove si riunivano i senatori (quando si passa al regime autocratico il luogo perde importanza e con Giulio Cesare la zona viene abbandonato e distrutto).
L’altro edificio rappresenta il polo politico e religioso, ovvero la regia, luogo nel quale il re officiava le cerimonie di rito, poiché i primi re erano investiti di poteri spirituali, anche se per qualche periodo fu anche la casa dei re in particolare per Numa Pompilio (secondo re di Roma), generalmente i re abitavano in una zona chiamata velia, ovvero una collina vicino alla porta mugolia a fianco della quale iniziava la via sacra, che in corrispondenza della porta mugolia svolta proseguendo in linea retta verso l’arx, attraversando i fori.
Un importante costruzione di questo periodo è rappresentata dal tempio di Giove Massimo capitolino, che invece si trovava sul Campidoglio (sull’arx si trovava invece il tempio di Giunone Moneta, ma è meno importante, mentre in corrispondenza della terminazione della via sacra ai piedi del Campidoglio si trovava il Tabularium, una sorta di quinta architettonica). Quest'edificio era molto importante nella vita di Roma perché era luogo dove tutti i condottieri si recavano per rendere omaggio a Giove in segno di ringraziamento per le vittorie conseguite, non a caso esisteva anche un vero e proprio percorso trionfale che iniziava dall'isola Tiberina e proseguendo attraverso il vicus iugarius si arrivava dinnanzi al tempio. Il tipo di struttura del tempio di Giove rimanda certamente ad una struttura templare, ma è più appropriato chiamarla capitolio, il quale si differenzia dal tempio non tanto per le parti costitutive ma per il fatto che mentre il tempio ha una sola cella, il capitolium è un edificio formato da una triplice cella dedicate a Giove, Giunone e Minerva (lettera divinità più venerate del Pantheon romano); 
questa tipologia particolare di tempio con tre celle era un emblema di tutte le città conquistate, ovvero quando i romani conquistavano una città il primo edificio che costruivano per indicare la loro presenza in quella terra era il capitolium (un edificio con la triade capitolina), poi aggiungevano in genere le terme ed un teatro, lasciando alla popolazione locale la possibilità di esprimere nella maniera tradizionale i loro modi d'uso (quello a Roma fu il primo della sua categoria). Questo tempio inaugura anche una tipologia che sarà ricorrente nell'epoca romana; diversamente da quello che abbiamo visto per il mondo greco (dove i templi si distinguono periodicamente, in quanto ogni edificio è legato ai precedenti ma sviluppa sempre nuove piste di ricerca), nel mondo romano le tipologie ricorrenti sono essenzialmente due e sempre le stesse, quello che cambia è l'uso di materiali (in particolare negli edifici più antichi utilizzano la pietra mentre nel passaggio tra l'età repubblicana e quella imperiale si utilizza prevalentemente al marmo), queste due tipologie sono il tempio periptero sine postilo (cioè senza la parte posteriore) ed il tempio periptero ad ale; elementi costitutivi di entrambe le tipologie di templi sono l'alto basamento quadrangolare (capitolium) o rettangolare (tempio semplice) che si chiama podio (può raggiungere altezze di 4 m e presenta solo nella parte d'ingresso una scalinata assiale), attraverso la scalinata si raggiunge lo stilobate dove è collocata una zona colonnata che si chiama parte antica (chiamato altrimenti pronaos), cui segue una parte postica che rappresenta l'area occupata dalla cella o dalle tre celle (tutto questo deriva dalle parole di Vitruvio). Il tempio di Giove capitolino a Roma (la cui si origine si fa derivare dal tempio etrusco) presentava colonne su tre lati del tempio, mentre sul quarto era presente un semplice muro, per questo il tempio viene definito periptero sine postilo (o sine postico); l'altra tipologia, ovvero il tempio periptero ad ale, si distingue da quella prima per il fatto che i colonnati laterali possono presentare in parte un muro continuo che inizia dove nel tempio sine postilo erano presenti delle ante, per concludersi in corrispondenza dell’entrata delle celle (anche se più spesso si fermano prima). In generale tempio nel mondo romano non ha registrato quel successo che ebbe in Grecia, più che altro le terme ed i teatri hanno un ruolo predominante; inoltre si nota che nel tempio di Giove capitolino (ed in molti altri del genere) il frontone è aperto, mentre gli elementi di coronamento erano dei gruppi statuali realizzate in argilla, che poi venne sostituito in un gruppo in bronzo; palese è anche la disarmonia nelle proporzioni.
Naturalmente l'area del foro è evoluta notevolmente con il passare del tempo, perché ogni comandante, ogni generale ed un imperatore voleva lasciare un ricordo delle sue gesta costruendo in primis un semplice elemento od una colonna positiva, in seguito, con l’avvento dell’impero si procedette direttamente con la costruzione di nuovi fori (il primo di Giulio Cesare), cinque fori che si trovano parallelamente ai fori più antichi. In genere si divide l'area del foro romano in due sezioni, una prima che racchiude una serie di architetture che sono cronologicamente ascrivibili alla periodo regio e repubblicano (dall’VIII secolo fino al 37 a.C.), mentre un secondo settore è caratterizzato da edifici che appartengono all'età imperiale (dall’età di Augusto fino alla caduta dell’impero), anche se in questa zona precedentemente erano presenti di edifici a carattere sparso, molto più antichi di quelli che attualmente appaiono e che probabilmente vennero inglobati dagli edifici successivi.
Certamente l'area più interessante è quella che si sviluppa intorno alla piazza del foro, una sorta di trapezio che rappresenta la piazza pubblica a fianco del comizio; questo era lo spazio di riunione generale, dove la popolazione si incontrava per chiacchierare o per condurre le proprie attività, infatti quest'area in questa fase ha una vocazione prettamente commerciale, non a caso sono presenti molte taverne (dei negozi) e molte macellerie (perché la carne faceva parte dei rituali di offerte alle divinità). Si tratta quindi di un'area urbanisticamente molto disordinata dove proliferavano queste taverne abusive realizzate con materiali poveri; questa situazione così disordinata e neanche accresciuta dal fatto che insieme alle botteghe comincia ad essere sistemate una serie di cimeli e ricordi per ricordare imprese vittoriose.
Quindi fino al quarto secolo quest'area era completamente nel caos, né c'era da parte della classe senatoriale potere tale da mettere ordine (perché certamente quest'operazione avrebbe creato malumori e la città non era abbastanza forte da consentire la sicurezza senza un appoggio generale delle parti), inoltre questo disordine è dovuto anche alla presenza di lotte interne che dominano la scena in tutta l'età repubblicana, con la lotta tra patrizi e plebei (i patrizi approfittavo del lavoro e plebei perché non vi erano leggi scritte e quindi vinceva il più forte, per questo i plebei richiedono una legge scritta che viene promulgata a partire dal V secolo e che è la legge delle 12 tavole, quella legge che stabiliva il rapporto tra ricchi e poveri, rendeva possibile i matrimoni misti e apriva le porte alle alte cariche dello stato a “tutti”), non a caso la zona del foro era il centro di condensazione delle sommosse che partivano dalla suburra, che si trovava a fianco del foro.
A partire dal III secolo (dopo la conquista delle colonie greche) era nata la necessità di creare un'immagine diversa della città di Roma e il luogo dove questo poteva manifestarsi con maggiore chiarezza era proprio questa piazza, per questo la piazza del foro doveva abbandonare il suo aspetto disordinato per assumere una fisionomia diversa, ovvero quella di una futura potenza (in questo periodo ha anche nel mondo intellettuale e letterario romano inizia a serpeggiare con insistenza questa idea, che viene generalmente indicata con il termine dignitas forense, ovvero il desiderio di mutamento). Uno dei primi passi che viene fatto per risolvere questa situazione è la decisione di impedire l'aggiunta di altre statue o monumenti onorari all’interno della piazza, cioè viene promulgata un editto che impediva la possibilità di inserire questi nuovi manufatti e nello stesso tempo molti di questi gruppi statuari vengono trasferiti in altri luoghi, vennero lasciati soltanto quei simboli che rappresentavano i momenti decisivi dell'accrescimento della potenza di Roma. Un altro provvedimento venne emanato per evitare la confusione creata dalle attività commerciale (cioè bisognava eliminare dall'area le taverne sparse a caso), per questa ragione viene costruito un edificio all'esterno del foro che viene chiamato macellum, liberando in questo modo la piazza centrale diventando così uno spazio rappresentativo e degno della capitale di questo nuova potenza. Nell'ottica di queste trasformazioni che avvengono nel III secolo, approfittando di un incendio che interessa tutta questa area centrale, si cercò di dare un assetto ancora più ordinato all'area costruendo quattro grandi basiliche (che presentano sul lato d'ingresso tutta una serie di taverne nove ed argentarie, fatte in muratura e destinate ad un commercio più elaborato, tipo gioielli e profumi): la basilica aemilia (179 a.C.), la basilica sempronia (170 a.C. costruita sulla casa dei gracchi), basilica Opimia (181 a.C.) e la basilica porcia (184 a.C.); queste rendono monumentale l'insieme ma costituiscono anche una sorta di delimitazione dello spazio, infatti inizia a delinearsi uno spazio chiuso che in questo momento ha un significato politico molto chiaro, nel senso che deve essere l'espressione di una civiltà che si avviava a grandi splendori, per questa ragione gli edifici sono costruiti con grandi dimensioni e anche con una ricchezza di materiali notevoli. 
Intanto il comitium è diventato da quadrato a circolare ad imitazione di un edificio simile che i romani avevano conosciuto a Peastum (dove era presente l’eclesiasteium, luogo di riunione); questa nuova struttura da questo momento viene anche chiamata rostra (arpioni che servivano per agganciare le navi nemiche), perché in questo luogo vennero appesi nella tribuna dell’oratore i rostri utilizzati nella battaglia di Anzio
Il passo successivo avviene con Giulio Cesare (57 a.C. Cesare ritorna dalle Gallie); quando torna a Roma trova un ambiente diviso (molti lo amavano ma la classe senatoriale lo odiava), Cesare ovviamente attuò una politica con la precisa volontà di accattivarsi ancora di più la simpatia della lepre ma soprattutto cercando di vincere le resistenze senatoriali; per quanto riguarda il primo obiettivo ebbe molto successo mentre per quanto riguarda i senatori la resistenza continuò e fu sempre più severa finché non lo uccisero. Tra il 57 a.C. ed il 44 a.C. Cesare risiede a Roma con l'intento di condurre una politica persuasiva attraverso l'attività edilizia, cerca di attuare questa sua politica in due modi, il primo consisteva nel cercare di risolvere il problema dell'assetto urbano dell'intera città di Roma promuovendo un piano urbanistico generale, la seconda azione che muove parallelamente a questo progetto è quella di coinvolgere l'area del foro attraverso la realizzazione di alcune opere. In una prima fase si concentra su l'attuazione del piano urbanistico, anche se non ebbe successo, per questo si concentrò sull'area del foro sistemando ancora questo spazio trapezoidale e soprattutto creando il suo primo foro, il foro di Giulio Cesare (inteso come esaltazione della sua immagine), giustapposto a quello romano.
Nel momento che Cesare entra a Roma, con l’intenzione di assumere il potere, la situazione della città era abbastanza deplorevole, non solo nel foro ma anche nelle parti abitate esterne della città ed in particolare nella suburra notoriamente poco abitabile per le costrizioni precarie e focolai di continue rivolte. La città inoltre era priva di servizi igienici, pavimentazione ed illuminazione, ma sopratutto la densità edilizia era notevole, sopratutto vicino al centro. Le insulae erano le abitazioni nelle quali vivevano i ceti più poveri, erano costituite grandi caseggiati una scala di disimpegno ai cui lati si trovavano gli appartamenti di un solo ambiente; anche gli acquedotti non esistevano ancora (che vengono iniziati con August). Consapevole di questi fatti Cesare cerca di varare un piano urbanistico promulgando una legge nel 45 a.C. nota come "de urbe augenda"(cioè sul modo di aumentare la città), in pratica è una lista di prescrizioni a cui i costruttori dovevano attenersi nella costruzione delle nuove case (come succede oggi nei piani regolatori); sulla base di questa iniziativa, cercando la collaborazione di urbanisti greci, Cesare spiego alla classe senatoria nella curia le idee del suo progetto. Nel momento in cui assume il potere la città era concentrate delle mura serviane, un territorio abbastanza vasto (più di 400 ettari) divise in grandi aree amministrative (chiamate regiones), in questo momento la situazione aveva raggiunto livelli critici, tanto da richiedere un ampliamento. Come era successo per le mura serviane, che consistevano nell’ampliamento della Roma quadrata, anche nel momento in cui Cesare cerca di attuare questo piano, tutta l'area esterna era occupata da immigrati, che ambivano di essere inserito all'interno del pomelio (per avere i vantaggi che ne derivavano). Le possibili aree di espansione erano sostanzialmente tre, la prima era quella corrispondente al campo marzio (su cui si concentrava la maggiore attenzione), dal Campidoglio fino al corso del Tevere (sopratutto verso nord est); quest'area era riservate alle esercitazioni militari, quindi un’area già occupata e sulla quale giravano delle voci di derivazione senatoriale (per impedire possibili trasferimenti), ovvero, siccome il campo marzio era proprietà dei traquini, che erano dediti a dei culti degli dei degli inferi la popolazione era restia perché erano state messe in giro voci c'eran di infestazione di spiriti marini, più che altro mancava lo spazio per le esercitazioni militari, per questo Cesare propone di spostare il campo nell'area del'attuale Vaticano e per attuare questo progetto pensa anche di deviare il corso del Tevere, ma il suo progetto non venne accettato. 
L'altra zona era a sud delle mura serviane, luogo dove sorgevano il cantiere navale, questa scelta fu subito impopolare perché significava distruggere una serie di attrezzature stabili e spostare abitanti non di facile controllo di origine orientale (dalla Siria e dalla Palestina). 
La terza area era quella legata alla parte orientale, lontana dal fiume Tevere, dove l’aria e molto salubre e lontana dai miasmi del Tevere; un’area che quindi offriva diversi vantaggi ma la soluzione non era gradita alla classe senatoriale perché qui possedevano patrimoni immensi e le loro ville di campagna (l’espansione in questa zona avrebbe portato all’esproprio dei loro beni). 
L'unica soluzione era quella dello spostamento del fiume Tevere, l’urbanizzazione dell’area del campo marzio ed il trasferimento dello stesso campo nell'attuale zona del Vaticano, tuttavia anche questo progetto incontrò molte resistenze per due motivi, innanzitutto l'idea di spostare il Tevere (un progetto molto oneroso anche per la creazione di nuovi punti), ma sopratutto in quella zona si trovava la proprietà privata di Cesare, quindi l’inserimento di una proprietà privata in un piano così generale era interpretato come un interesse privato. Queste resistenza furono così forti da rallentare la decisione ma sopratutto subito dopo la vicenda fu chiusa con l'uccisione di Cesare nel 44 a.C. Si pensa che il progetto non possa essere realizzato.
Certamente l’impedimento di questo progetto non risolveva i problemi di Roma, Ottaviano Augusto cerco si trovare una soluzione che potesse dirimere il problema, dichiarò quindi che l'idea di Cesare doveva essere scartata, in quanto Roma usciva da una serie di guerre esterne e quindi non poteva sopportare un’opera di queste dimensioni, invocando consenso generale; ma ottiene allo stesso tempo le finalità del padre tracciando il nuovo pomelio ad una distanza notevole rispetto al nucleo centrale in modo da inglobare gran parte dei gruppi che si trovavano all’esterno (lasciando anche degli spazi liberi in maniera tale da poter essere occupati successivamente). 
Nello stesso tempo Ottaviano dichiara di voler ampliare la città soltanto per ragioni amministrative (cioè per dare ordine alla città risolvendo i problemi di igiene, intasamento e densità abitativa), per questo racchiude un perimetro indicato con un solco di aratro (come Romolo) e divide il perimetro in 14 regioni, quartieri che vivono di una sorta di autonomia amministrativa ma erano anche legate al Campidoglio. Nello stesso tempo cerco di dare l'avvio alla IX zona (quella del campo marzio) e per attirare l'interesse della popolazione costruì terme e teatri; l’efficacia fu tale che l'immagine della città do Ottaviano rimase ferma fino al 270 quando fu costantemente minacciata dai barbari del nord e quindi era necessario circondare la città di mura (già c’era questa idea ma il momento storico non ne permetteva la costruzione). Quando Aureliano ottiene finalmente un periodo di tregua dalle guerre, la città viene circondata da mura possenti che non fanno altro che ricalcate il perimetro del piano di Augusto costruendo così le mura aureliane. Il sistema di costruzione di queste mura è diverso da quello che abbiamo studiato per le mura serviane, si realizzano infatti muri molto altri e di grande spessore, costruiti con un cuore di opera cementizia e con paramenti esterni di mattoni a filari paralleli realizzando una opera laterizia (una opera muraria tipica del III secolo d.C.), negli ingressi il mattone veniva sostituito con il travertino. In corrispondenza dell’inizio delle vie principali della città si aprivano le porte, che si presentavano in genere con un unico ingresso oppure doppi,  sormontati da un primo piano raggiungibile dal cammino di ronda ed ancora sopra una terrazza (servivano a rafforzare ulteriormente la difesa). Nel 275 le mura vengono terminate e questo perimetro rimane immutato anche nei secoli successivi, le uniche modifiche furono fatte alla fine del IV secolo e agli inizi del V, quando la necessita di una ulteriore difesa costrinse i romani ad operare una ulteriore soprelevazione delle antiche mura all’epoca di Teodosio. I cambiamenti di costruzione si notano con un cambiamento di tecnica costruttiva perché mentre le parti basse presentano tutte un’opera laterizia le parto alte utilizzano una opera mista con un’alternanza di tufelli e file di mattoni (utilizzata anche nel II secolo, ma in quel caso si utilizzavano delle piramidine ottenendo un’opera reticolata).

Archi e volte

Andremo adesso ad analizzare le caratteristiche del sistema spingente che si concretizza nella costruzione degli arti e delle volte, i vari studi compiuti nel tempo hanno permesso di precisare che i romani non inventarono il sistema spingente, in particolare l'arco, ma avrebbero assimilato questa tecnica costruttiva da altre civiltà che si erano sviluppate poco prima o che si erano sviluppate contestualmente nel bacino del Mediterraneo; tra queste civiltà la prima era quella degli etruschi, di cui non abbiamo reperti architettonici così vasti, però sappiamo che già al loro iniziarono a realizzare delle opere, dove il sistema spingente ed in particolare l'arco assumeva una notevole importanza, questo sapere se era probabilmente trasferito ai romani durante il secondo periodo regio, quando i re erano etruschi.
I romani iniziarono a sperimentare l'arco per risolvere delle esigenze di carattere pratico, però poi hanno trasformato l'arco ed il sistema voltato nella base del loro linguaggio espressivo e nel loro linguaggio della composizione dello spazio (il sistema ad arco diventa una sorta di alfabeto, in particolare il sistema dell'arco inquadrato dall'ordine architettonico).
Naturalmente i romani non arrivarono subito alla formalizzazione dell'arco come le intendiamo oggi ma attraverso tutta una serie di tentativi per dare una soluzione ad un problema, ovvero dell'esecuzione di una bucatura all'interno di una muratura; inizialmente si trattava di esperimenti che utilizzavano ancora il sistema trilitico, cioè non sono presenti delle forze spingenti o se ci sono son modeste e lavora per gravità (molto simili al sistema del tesoro di Atreo a Micene).
La prima cosa che si nota degli esempi che trattano il vero sistema spingente è la progressiva razionalizzazione della disposizione delle pietre e come viene tagliata la pietra, infatti i prolungamenti delle superfici di contatto fra conici si incontrano più o meno tutte in un punto, che corrisponde al centro di una semi circonferenza (in questo caso si dice che i conci sono radiali, perché è come se seguissero il raggio); nella sostanza strutturale questa disposizione degli aspetti fondamentali.

Abbiamo studiato il sistema trilitico, formato da due elementi portanti ed uno portato, premesso che il masso portato deve auto sostenersi (nel senso che non si deve spezzare sotto il suo stesso peso), troviamo una reazione dei piedritti che va a controbilanciare il peso del architrave (come lo chiamo si tratta di forze tutte verticali); il limite di questa struttura però è la distanza tra un sostegno e l'altro (l’interasse o luce), perché inevitabilmente i blocchi tendono a rompersi per effetto del loro stesso peso.
I greci puntarono sempre su questo sistema probabilmente perché lo pensavano di più perfetto tra tutti; i romani invece avevano tutt'altra mentalità in quanto erano soliti assimilare i saperi dalle altre culture e arrivano alla soluzione dell'arco, innanzitutto per superare il limite della distanza tra un appoggio e l'altro, infatti proprio per effetto della geometria di questa struttura il suo modo di scaricare il peso a terra sarà diverso rispetto al caso precedente, questo si può vedere disegnando la forza peso (che non è altro che un vettore tangente alla linea curva dell’arco), che naturalmente posso vedere come risultante di due interazioni perpendicolare tra loro, una orizzontale e l’altra verticale (applicando la regola del parallelogramma),naturalmente più vicino siamo al concio di chiave più la componente orizzontale aumenta. Possiamo constatare che un sistema del genere permette di deviare parte del carico della struttura anche sulle parti laterali della muratura, con un vantaggio immediato, ovvero quello di ampliare la luce. Inizialmente il sistema dell'arco era formato da una serie di conci che radiali (che per quanto riguarda i romani formavano l'arco a tutto sesto), in seguito la struttura si evolse ed anche per questo tipo di costruzione venne utilizzato il conglomerato cementizio, versando l’opus caementicium al di sopra di una cassaforma (una struttura provvisoria), che poi veniva tolta, per mostrare la struttura vera e propria.
Anche l’arco ha una sua nomenclatura particolare (che viene riassunta nell’immagine), la superficie che noi possiamo osservare quando ci troviamo sotto l’arco è chiamata superficie o linea di intradosso, mentre la linea esterna si chiama linea o superficie di estradosso (o più semplicemente estradosso); l’arco per essere retto deve avere dei piedritti o delle spalle (se si parla di spalla di solito si indica che il muro continua dopo il piedritto); l’arco inizia sulla linea di imposta, se ci troviamo di fronte ad un arco in blocchi di pietra ogni blocco si chiama concio; l’arco poi può essere estradossato (cioè la linea curva dell’arco non va ad interagire con la tessitura muraria) oppure estradossato legato ai filari (dove i conci sono sagomati in maniera tale da trovare un collegamento con la muratura); infine somiero o peduccio è il nome che viene dato al primo concio sopra la linea d’imposta.
Naturalmente il concio più importante è la chiave, ovvero l’ultimo concio che viene messo in opera e quello che permette all’arco di funzionare sulla base del principio che abbiamo spiegato.
Tuttavia è necessario che siano soddisfatte delle condizioni affinché un arco stia in piedi, infatti esiste il problema del terzo medio (ipotizzando di dividere il piedritto in tre parti uguali il terzo medio è 1:3 che sta a metà). Come possiamo osservare anche dall'immagine la risultante somma tra la forza che esercita l'arco sul piedritto nel punto d’imposta e la forza peso dello stesso piedritto, in caso case all'interno del terzo medio mentre nell'altro caso sono; dal punto di vista strutturale naturalmente la soluzione giusta (affinché l'arco non crolli) è quella in cui la risultante si trova all'interno del terzo medio, altrimenti si potrebbero verificare degli effetti di apertura dell'arco e di instabilità generale che andrebbero compromettere l'intera struttura.
Uno punto particolarmente fragile dell’arco è quello che viene chiamato reni dell’arco, che non sono altro che delle superfici che si trovano all'incirca a 30° rispetto al piano di imposta, questo è il punto particolarmente fragile perché se i materiali non sono disposti in modo adeguato e se anche la quantità di materiali non è sufficiente possono verificarsi delle fratture che vanno a determinare la caduta dell'arco. I romani trovarono una serie di soluzioni che verranno (in altri modi) applicate anche dai costruttori successivi (come nell'architettura romanica e in quella gotica), in particolare si realizzano dei setti murari che raggiungono un livello, in termini di gradi, superiore a quello delle reni.
È consueto anche trovare nei resti romani delle aperture con una apertura orizzontale, in realtà quando ci troviamo di fronte ad una muratura in opus testacium e con i mattoni della copertura che sono disposti quasi verticalmente, ci troviamo di fronte ad un sistema spingente che si chiama piattabanda. Funziona nello stesso modo in cui io trasporto una serie di libri, ovvero comprimendo alle estremità, questo rende il sistema a piattabanda un vero sistema spingente.

I vari tipi di arco
Il nome che i vari archi hanno deriva dal rapporto che esiste tra il raggio che forma la curvatura della volta e la distanza tra il piano d’imposta e la chiave dell’arco (che si chiama freccia). Per quanto riguarda i romani utilizzarono prevalentemente l'arco a tutto sesto e per quanto riguarda le volte, utilizzarono prevalentemente la volta a botte e la volta a crociera.
Nel caso dell’arco a tutto sesto non abbiamo nient’altro che un semicerchio, cioè un arco in cui la freccia è uguale al raggio.
In epoche successive, in particolare nel medioevo, vengono usati altri tipi di arco, come l’arco a sesto acuto (che presenta due centri di curvatura), l’arco su piedritti o su sovrassesti (che è un arco a tutto sesto appoggiato su degli elementi verticali, che sono separati dei piedritti veri e propri della linea di imposta, abbastanza diffuso nella architettura romanica e in particolare ha una ascendenza orientale, in Sicilia permane anche nel 400 e 500), infine c’è l’arco parabolico; tutti questi rientrano nella famiglia degli archi rialzati perché la freccia è maggiore del raggio. Esistono però anche gli archi a sesto ribassato che ha il centro di curvatura che si trova al di sotto della linea di imposta.
Poi in base a come vanno le tangenti all’intradosso in corrispondenza della linea di imposta si individuano dei profili completi o non completi (completi se le tangenti sono verticali e parallele, non completi es queste stesse tangenti sono oblique).

Le volte
Se gli archi si può dire che hanno uno sviluppo lineare e bidimensionale, le volte sono quelle che ci consentono di parlare di spazio ed equivale allo sviluppo nello spazio dell’arco.
Le volte sono costituite da direttrici e generatrici, la direttrice è una linea curva (che in pratica è l’intradosso dell’arco) mentre le generatrici sono quel fascio di rette che va a determinare la superficie della volta ed in genere ha una direzione ortogonale alla linea direttrice.
A seconda della configurazione della volta stessa possiamo attribuire nomi diversi alle volte: nel caso la volta sia una semplice struttura semicilindrica la volta si chiama retta, assume invece il nome di rampante (o inclinata) se i piani di imposta si trovano su livelli diversi, si dice obliqua se tutte le generatrici sono oblique rispetto alla linea direttrice, infine la volta è zoppa se lo sviluppo della curvatura non avviene in modo concreto (in genere viene applicata quando ci sono dei dislivelli).
A seconda dei casi possiamo avere delle volte semplici o delle volte composte, le volte semplici le definiamo tali se osserviamo la presenza di una sola superficie (le volte semplici sono la volta a botte, anulate e la cupola, che venivano utilizzate dai romani e poi la volta conica e quella a vela); le volte composte sono quelle che sono formate da più superfici (è questo il caso, soprattutto per quanto riguarda l’architettura romana, della volta a crociera, data dalla intersezione di due volte a botte, altre volte che in genere non sono utilizzate dai romani sono padiglione o miste.
Tra le volte semplici c’è quella a botte, che, come abbiamo detto, si stratta di un cilindro tagliato a metà; ha come sezione trasversale una semicirconferenza, come pianta un rettangolo e di nuovo come sezione longitudinale un rettangolo. Volte semplici sono anche le cupole, che nello spazio possiamo considerare come una semisfera.
La volta a vela, in termini geometrici, è data quando io seziono con dei piani perpendicolari al piano orizzontale la superficie semisferica; partendo dalla forma della volta a vela presente nel disegno a fianco si possono ottenere tutta una serie di varianti, variando la lunghezza dei piani che “tagliano” la superficie sfericooppure aumentando il loro numero.

Nel momento in cui sezioniamo la nostra sfera non solo con dei piani perpendicolari al piano di base, ma anche con un piano orizzontale, otteniamo la cosiddetta struttura a pennacchi sferici (una soluzione molto diffusa nella architettura bizzantina).
Le volte composte si ottengono quando si congiungono dei pezzi della più semplice delle volte, cioè la volta a botte; immaginiamo di prendere una volta a botte e di sezionarla con dei piani perpendicolari alla base e passanti per le diagonali, ottengo quattro superfici quelle che contengono le direttrici vengono chiamate unghie (che appoggiano su sostegni puntiformi), mentre le altre due superfici vengono chiamate fusi (che appoggiano su una muratura continua). Questi sono gli elementi di partenza per parlare delle volte composte, arrivando quindi a dire che la volta a crociera (quella più usata tra le volte composte dai romani, ma anche nell’architettura dell’umanesimo) è data dall'unione di quattro unghie; la volta a padiglione invece è data dall’unione di più fusi (che come detto scaricano su appoggi continui), in generale, utilizzando tutte le variati di archi che abbiamo visto e variando la dimensione ed il numero delle unghie e dei fusi, si può ottenere quasi una serie infinita di possibilità.
Le volte, finché non vengono messe fusione con la messa in opera delle chiavi, non sono dei sistemi strutturali che possono stare in piedi, per questo è necessario montare delle strutture provvisorie che si chiamano centine, fatte in legno e a seconda dell'ampiezza della volta o dell'arco potevano assumere una configurazione diversa; servivano per appoggiarci sopra i conci lapidei oppure il conglomerato cementizio nella fase di costruzione della volta. Una volta che il cemento aveva preso oppure che era stata posizionata la chiave di volta, la volta o l’arco venivano disarmati, eliminando la centina.

In genere per le volte di grandi dimensioni veniva inserito uno scheletro sulla base di una serie di arcate, che permetteva di dare luogo a delle direzioni preferenziali rispetto alle quali le azioni di forza si dirigevano (come succede nel Pantheon); in altre zone dell'impero, come per esempio in Africa settentrionale, Italia meridionale ed in generale in tutti quei posti dove non c’era abbastanza legname. Venivano messi in opera una serie di vasi ceramici (modulari) che si incastravano uno dentro l’altro per creare una sorta di catena; venivano inseriti seguendo un percorso a chiocciola per chiedere le cupole e le volte, questo sistema permetteva di creare delle volte o delle cupole autoportanti (ovvero sistemi che in fase di costruzione stanno su da soli e non hanno bisogno delle centine).

Il Pantheon è l'edificio meglio conservato dell'architettura romana ed è possibile osservarlo nella zona di campo marzio a Roma, risale al II secolo d.C. per volere di Adriano (anche se andava a ricostruire un tempio omonimo costruito nell’età di Agrippa); la particolarità di questo edificio è che ci permette di vedere in modo esplicito la politica dello spazio tipica dei romani e le loro abilità ingegneristiche. Se lo si osserva dall'esterno il suo ingresso è inquadrato da un pronao che assomiglia ad un tempio greco, in realtà dietro troviamo un immenso spazio circolare (anche se sono ricavate delle nicchie di pianta alternata semicircolare o rettangolare, per ampliare lo spazio interno) coperto da una cupola (in opus caementicium), che ha un diametro di 43,30 metri e l’altezza è uguale. La particolarità dell'edificio sta nel fatto che in sostanza è costituito da un cilindro sormontato da una semisfera (cassattonata o lacunari, che alleggeriscono la struttura e realizzati grazie alla sagoma attribuita alla centina); la muratura del cilindro è costituita da una serie di arcate su due livelli, si crea quindi una muratura che ha nell'esistenza di questa arcate il punto forte, le quali si controbilanciano all’infinito e permettono di sopportare i mesi carichi.
Per quanto riguarda la cupola i romani pensarono anche di variare i materiali di costruzione che componevano il conglomerato cementizio della volta, in particolare procedendo dal basso verso l'alto possiamo constatare l'impiego di materiali in base alle loro proprietà meccaniche e fisiche, alla base sono stati scelti molto resistente compressione (con proprietà meccaniche spiccate) mentre salendo verso l'alto, soprattutto per quanto riguarda la volta, i romani hanno via via disposto materiali più leggeri (il primo anello della cupola è realizzato con frammenti di laterizio, il secondo anello con mattoni e tufo, mentre per quelli superiori vengono utilizzati il tufo e materiale lavico); questo si va a sommare con l'assottigliamento della stessa muratura verso il centro.

Esempi dell’utilizzo del sistema vigente si trovano in quasi tutte le architetture romane, ma in particolare in alcuni come nei terrazzamenti del tempio della Fortuna Primigenea a Palestrina, dove vennero create delle opere artificiali che potessero sostenere il peso della collina, vennero quindi realizzati una serie di ambienti voltati (con volte a botte che si sviluppano in lunghezza). Man mano che passa il tempo avvicinandoci all'età di Augusto, soprattutto nella regione campana dove era diffusa la pozzolana (che favoriva l'indurimento del caementa anche in non presenza di aria), gli architetti sperimentarono diversi sistemi di coperture, in particolare le porte per le terme. Lontano dalla pozzolana e dall'Italia i romani riuscirono a utilizzare il sistema spingete utilizzando altri materiali, in particolare la pietra squadrata (come nel tempio di Diana), in questo caso per facilitare la messa in posa e per rendere più stabile la volta, fu realizzata un'ossatura (che non è altro che una serie di arcate) che doveva servire da appoggio ad quattro superfici. Infine nella basilica di Massenzio (che risale all'età tardo antica) i romani sono ormai specializzati nell'uso della forza e dell'arco e quello che è interessante osservare che la struttura di quelle che potremmo definire le cappelle laterali che sono atte a contrastare il collocamento della grande navata centrale voltata con tre grandi volte a crociera (precorrendo i contrafforti e gli archi rampanti di età gotica).