Archi e volte

Andremo adesso ad analizzare le caratteristiche del sistema spingente che si concretizza nella costruzione degli arti e delle volte, i vari studi compiuti nel tempo hanno permesso di precisare che i romani non inventarono il sistema spingente, in particolare l'arco, ma avrebbero assimilato questa tecnica costruttiva da altre civiltà che si erano sviluppate poco prima o che si erano sviluppate contestualmente nel bacino del Mediterraneo; tra queste civiltà la prima era quella degli etruschi, di cui non abbiamo reperti architettonici così vasti, però sappiamo che già al loro iniziarono a realizzare delle opere, dove il sistema spingente ed in particolare l'arco assumeva una notevole importanza, questo sapere se era probabilmente trasferito ai romani durante il secondo periodo regio, quando i re erano etruschi.
I romani iniziarono a sperimentare l'arco per risolvere delle esigenze di carattere pratico, però poi hanno trasformato l'arco ed il sistema voltato nella base del loro linguaggio espressivo e nel loro linguaggio della composizione dello spazio (il sistema ad arco diventa una sorta di alfabeto, in particolare il sistema dell'arco inquadrato dall'ordine architettonico).
Naturalmente i romani non arrivarono subito alla formalizzazione dell'arco come le intendiamo oggi ma attraverso tutta una serie di tentativi per dare una soluzione ad un problema, ovvero dell'esecuzione di una bucatura all'interno di una muratura; inizialmente si trattava di esperimenti che utilizzavano ancora il sistema trilitico, cioè non sono presenti delle forze spingenti o se ci sono son modeste e lavora per gravità (molto simili al sistema del tesoro di Atreo a Micene).
La prima cosa che si nota degli esempi che trattano il vero sistema spingente è la progressiva razionalizzazione della disposizione delle pietre e come viene tagliata la pietra, infatti i prolungamenti delle superfici di contatto fra conici si incontrano più o meno tutte in un punto, che corrisponde al centro di una semi circonferenza (in questo caso si dice che i conci sono radiali, perché è come se seguissero il raggio); nella sostanza strutturale questa disposizione degli aspetti fondamentali.

Abbiamo studiato il sistema trilitico, formato da due elementi portanti ed uno portato, premesso che il masso portato deve auto sostenersi (nel senso che non si deve spezzare sotto il suo stesso peso), troviamo una reazione dei piedritti che va a controbilanciare il peso del architrave (come lo chiamo si tratta di forze tutte verticali); il limite di questa struttura però è la distanza tra un sostegno e l'altro (l’interasse o luce), perché inevitabilmente i blocchi tendono a rompersi per effetto del loro stesso peso.
I greci puntarono sempre su questo sistema probabilmente perché lo pensavano di più perfetto tra tutti; i romani invece avevano tutt'altra mentalità in quanto erano soliti assimilare i saperi dalle altre culture e arrivano alla soluzione dell'arco, innanzitutto per superare il limite della distanza tra un appoggio e l'altro, infatti proprio per effetto della geometria di questa struttura il suo modo di scaricare il peso a terra sarà diverso rispetto al caso precedente, questo si può vedere disegnando la forza peso (che non è altro che un vettore tangente alla linea curva dell’arco), che naturalmente posso vedere come risultante di due interazioni perpendicolare tra loro, una orizzontale e l’altra verticale (applicando la regola del parallelogramma),naturalmente più vicino siamo al concio di chiave più la componente orizzontale aumenta. Possiamo constatare che un sistema del genere permette di deviare parte del carico della struttura anche sulle parti laterali della muratura, con un vantaggio immediato, ovvero quello di ampliare la luce. Inizialmente il sistema dell'arco era formato da una serie di conci che radiali (che per quanto riguarda i romani formavano l'arco a tutto sesto), in seguito la struttura si evolse ed anche per questo tipo di costruzione venne utilizzato il conglomerato cementizio, versando l’opus caementicium al di sopra di una cassaforma (una struttura provvisoria), che poi veniva tolta, per mostrare la struttura vera e propria.
Anche l’arco ha una sua nomenclatura particolare (che viene riassunta nell’immagine), la superficie che noi possiamo osservare quando ci troviamo sotto l’arco è chiamata superficie o linea di intradosso, mentre la linea esterna si chiama linea o superficie di estradosso (o più semplicemente estradosso); l’arco per essere retto deve avere dei piedritti o delle spalle (se si parla di spalla di solito si indica che il muro continua dopo il piedritto); l’arco inizia sulla linea di imposta, se ci troviamo di fronte ad un arco in blocchi di pietra ogni blocco si chiama concio; l’arco poi può essere estradossato (cioè la linea curva dell’arco non va ad interagire con la tessitura muraria) oppure estradossato legato ai filari (dove i conci sono sagomati in maniera tale da trovare un collegamento con la muratura); infine somiero o peduccio è il nome che viene dato al primo concio sopra la linea d’imposta.
Naturalmente il concio più importante è la chiave, ovvero l’ultimo concio che viene messo in opera e quello che permette all’arco di funzionare sulla base del principio che abbiamo spiegato.
Tuttavia è necessario che siano soddisfatte delle condizioni affinché un arco stia in piedi, infatti esiste il problema del terzo medio (ipotizzando di dividere il piedritto in tre parti uguali il terzo medio è 1:3 che sta a metà). Come possiamo osservare anche dall'immagine la risultante somma tra la forza che esercita l'arco sul piedritto nel punto d’imposta e la forza peso dello stesso piedritto, in caso case all'interno del terzo medio mentre nell'altro caso sono; dal punto di vista strutturale naturalmente la soluzione giusta (affinché l'arco non crolli) è quella in cui la risultante si trova all'interno del terzo medio, altrimenti si potrebbero verificare degli effetti di apertura dell'arco e di instabilità generale che andrebbero compromettere l'intera struttura.
Uno punto particolarmente fragile dell’arco è quello che viene chiamato reni dell’arco, che non sono altro che delle superfici che si trovano all'incirca a 30° rispetto al piano di imposta, questo è il punto particolarmente fragile perché se i materiali non sono disposti in modo adeguato e se anche la quantità di materiali non è sufficiente possono verificarsi delle fratture che vanno a determinare la caduta dell'arco. I romani trovarono una serie di soluzioni che verranno (in altri modi) applicate anche dai costruttori successivi (come nell'architettura romanica e in quella gotica), in particolare si realizzano dei setti murari che raggiungono un livello, in termini di gradi, superiore a quello delle reni.
È consueto anche trovare nei resti romani delle aperture con una apertura orizzontale, in realtà quando ci troviamo di fronte ad una muratura in opus testacium e con i mattoni della copertura che sono disposti quasi verticalmente, ci troviamo di fronte ad un sistema spingente che si chiama piattabanda. Funziona nello stesso modo in cui io trasporto una serie di libri, ovvero comprimendo alle estremità, questo rende il sistema a piattabanda un vero sistema spingente.

I vari tipi di arco
Il nome che i vari archi hanno deriva dal rapporto che esiste tra il raggio che forma la curvatura della volta e la distanza tra il piano d’imposta e la chiave dell’arco (che si chiama freccia). Per quanto riguarda i romani utilizzarono prevalentemente l'arco a tutto sesto e per quanto riguarda le volte, utilizzarono prevalentemente la volta a botte e la volta a crociera.
Nel caso dell’arco a tutto sesto non abbiamo nient’altro che un semicerchio, cioè un arco in cui la freccia è uguale al raggio.
In epoche successive, in particolare nel medioevo, vengono usati altri tipi di arco, come l’arco a sesto acuto (che presenta due centri di curvatura), l’arco su piedritti o su sovrassesti (che è un arco a tutto sesto appoggiato su degli elementi verticali, che sono separati dei piedritti veri e propri della linea di imposta, abbastanza diffuso nella architettura romanica e in particolare ha una ascendenza orientale, in Sicilia permane anche nel 400 e 500), infine c’è l’arco parabolico; tutti questi rientrano nella famiglia degli archi rialzati perché la freccia è maggiore del raggio. Esistono però anche gli archi a sesto ribassato che ha il centro di curvatura che si trova al di sotto della linea di imposta.
Poi in base a come vanno le tangenti all’intradosso in corrispondenza della linea di imposta si individuano dei profili completi o non completi (completi se le tangenti sono verticali e parallele, non completi es queste stesse tangenti sono oblique).

Le volte
Se gli archi si può dire che hanno uno sviluppo lineare e bidimensionale, le volte sono quelle che ci consentono di parlare di spazio ed equivale allo sviluppo nello spazio dell’arco.
Le volte sono costituite da direttrici e generatrici, la direttrice è una linea curva (che in pratica è l’intradosso dell’arco) mentre le generatrici sono quel fascio di rette che va a determinare la superficie della volta ed in genere ha una direzione ortogonale alla linea direttrice.
A seconda della configurazione della volta stessa possiamo attribuire nomi diversi alle volte: nel caso la volta sia una semplice struttura semicilindrica la volta si chiama retta, assume invece il nome di rampante (o inclinata) se i piani di imposta si trovano su livelli diversi, si dice obliqua se tutte le generatrici sono oblique rispetto alla linea direttrice, infine la volta è zoppa se lo sviluppo della curvatura non avviene in modo concreto (in genere viene applicata quando ci sono dei dislivelli).
A seconda dei casi possiamo avere delle volte semplici o delle volte composte, le volte semplici le definiamo tali se osserviamo la presenza di una sola superficie (le volte semplici sono la volta a botte, anulate e la cupola, che venivano utilizzate dai romani e poi la volta conica e quella a vela); le volte composte sono quelle che sono formate da più superfici (è questo il caso, soprattutto per quanto riguarda l’architettura romana, della volta a crociera, data dalla intersezione di due volte a botte, altre volte che in genere non sono utilizzate dai romani sono padiglione o miste.
Tra le volte semplici c’è quella a botte, che, come abbiamo detto, si stratta di un cilindro tagliato a metà; ha come sezione trasversale una semicirconferenza, come pianta un rettangolo e di nuovo come sezione longitudinale un rettangolo. Volte semplici sono anche le cupole, che nello spazio possiamo considerare come una semisfera.
La volta a vela, in termini geometrici, è data quando io seziono con dei piani perpendicolari al piano orizzontale la superficie semisferica; partendo dalla forma della volta a vela presente nel disegno a fianco si possono ottenere tutta una serie di varianti, variando la lunghezza dei piani che “tagliano” la superficie sfericooppure aumentando il loro numero.

Nel momento in cui sezioniamo la nostra sfera non solo con dei piani perpendicolari al piano di base, ma anche con un piano orizzontale, otteniamo la cosiddetta struttura a pennacchi sferici (una soluzione molto diffusa nella architettura bizzantina).
Le volte composte si ottengono quando si congiungono dei pezzi della più semplice delle volte, cioè la volta a botte; immaginiamo di prendere una volta a botte e di sezionarla con dei piani perpendicolari alla base e passanti per le diagonali, ottengo quattro superfici quelle che contengono le direttrici vengono chiamate unghie (che appoggiano su sostegni puntiformi), mentre le altre due superfici vengono chiamate fusi (che appoggiano su una muratura continua). Questi sono gli elementi di partenza per parlare delle volte composte, arrivando quindi a dire che la volta a crociera (quella più usata tra le volte composte dai romani, ma anche nell’architettura dell’umanesimo) è data dall'unione di quattro unghie; la volta a padiglione invece è data dall’unione di più fusi (che come detto scaricano su appoggi continui), in generale, utilizzando tutte le variati di archi che abbiamo visto e variando la dimensione ed il numero delle unghie e dei fusi, si può ottenere quasi una serie infinita di possibilità.
Le volte, finché non vengono messe fusione con la messa in opera delle chiavi, non sono dei sistemi strutturali che possono stare in piedi, per questo è necessario montare delle strutture provvisorie che si chiamano centine, fatte in legno e a seconda dell'ampiezza della volta o dell'arco potevano assumere una configurazione diversa; servivano per appoggiarci sopra i conci lapidei oppure il conglomerato cementizio nella fase di costruzione della volta. Una volta che il cemento aveva preso oppure che era stata posizionata la chiave di volta, la volta o l’arco venivano disarmati, eliminando la centina.

In genere per le volte di grandi dimensioni veniva inserito uno scheletro sulla base di una serie di arcate, che permetteva di dare luogo a delle direzioni preferenziali rispetto alle quali le azioni di forza si dirigevano (come succede nel Pantheon); in altre zone dell'impero, come per esempio in Africa settentrionale, Italia meridionale ed in generale in tutti quei posti dove non c’era abbastanza legname. Venivano messi in opera una serie di vasi ceramici (modulari) che si incastravano uno dentro l’altro per creare una sorta di catena; venivano inseriti seguendo un percorso a chiocciola per chiedere le cupole e le volte, questo sistema permetteva di creare delle volte o delle cupole autoportanti (ovvero sistemi che in fase di costruzione stanno su da soli e non hanno bisogno delle centine).

Il Pantheon è l'edificio meglio conservato dell'architettura romana ed è possibile osservarlo nella zona di campo marzio a Roma, risale al II secolo d.C. per volere di Adriano (anche se andava a ricostruire un tempio omonimo costruito nell’età di Agrippa); la particolarità di questo edificio è che ci permette di vedere in modo esplicito la politica dello spazio tipica dei romani e le loro abilità ingegneristiche. Se lo si osserva dall'esterno il suo ingresso è inquadrato da un pronao che assomiglia ad un tempio greco, in realtà dietro troviamo un immenso spazio circolare (anche se sono ricavate delle nicchie di pianta alternata semicircolare o rettangolare, per ampliare lo spazio interno) coperto da una cupola (in opus caementicium), che ha un diametro di 43,30 metri e l’altezza è uguale. La particolarità dell'edificio sta nel fatto che in sostanza è costituito da un cilindro sormontato da una semisfera (cassattonata o lacunari, che alleggeriscono la struttura e realizzati grazie alla sagoma attribuita alla centina); la muratura del cilindro è costituita da una serie di arcate su due livelli, si crea quindi una muratura che ha nell'esistenza di questa arcate il punto forte, le quali si controbilanciano all’infinito e permettono di sopportare i mesi carichi.
Per quanto riguarda la cupola i romani pensarono anche di variare i materiali di costruzione che componevano il conglomerato cementizio della volta, in particolare procedendo dal basso verso l'alto possiamo constatare l'impiego di materiali in base alle loro proprietà meccaniche e fisiche, alla base sono stati scelti molto resistente compressione (con proprietà meccaniche spiccate) mentre salendo verso l'alto, soprattutto per quanto riguarda la volta, i romani hanno via via disposto materiali più leggeri (il primo anello della cupola è realizzato con frammenti di laterizio, il secondo anello con mattoni e tufo, mentre per quelli superiori vengono utilizzati il tufo e materiale lavico); questo si va a sommare con l'assottigliamento della stessa muratura verso il centro.

Esempi dell’utilizzo del sistema vigente si trovano in quasi tutte le architetture romane, ma in particolare in alcuni come nei terrazzamenti del tempio della Fortuna Primigenea a Palestrina, dove vennero create delle opere artificiali che potessero sostenere il peso della collina, vennero quindi realizzati una serie di ambienti voltati (con volte a botte che si sviluppano in lunghezza). Man mano che passa il tempo avvicinandoci all'età di Augusto, soprattutto nella regione campana dove era diffusa la pozzolana (che favoriva l'indurimento del caementa anche in non presenza di aria), gli architetti sperimentarono diversi sistemi di coperture, in particolare le porte per le terme. Lontano dalla pozzolana e dall'Italia i romani riuscirono a utilizzare il sistema spingete utilizzando altri materiali, in particolare la pietra squadrata (come nel tempio di Diana), in questo caso per facilitare la messa in posa e per rendere più stabile la volta, fu realizzata un'ossatura (che non è altro che una serie di arcate) che doveva servire da appoggio ad quattro superfici. Infine nella basilica di Massenzio (che risale all'età tardo antica) i romani sono ormai specializzati nell'uso della forza e dell'arco e quello che è interessante osservare che la struttura di quelle che potremmo definire le cappelle laterali che sono atte a contrastare il collocamento della grande navata centrale voltata con tre grandi volte a crociera (precorrendo i contrafforti e gli archi rampanti di età gotica).

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