Villa Adriana a Tivoli

L’intervento presenta una serie di problematiche che risolvono temi già trattati e ne anticipano altri che saranno affrontati nell’ultima fase dell’età imperiale. Villa Adriana diventa un punto di riferimento e l’argomento per l’epoca in cui viene costruita, ovvero quelli dell’impero di Adriano, imperatore spagnolo di origine (dalla città di Italica), successore di Traiano che governa tra il 117 ed il 138 d.C.; si tratta di un imperatore con il quale si aprono nuove piste di ricerca sopratutto dal piano ideologico, Adriano si differenzia notevolmente dal padre in quanto è un personaggio più meditativo e dotato di una grande cultura che acquisisce ad Atene, ha una impronta diversa dal padre, rivolta a stabilire una pacificatore in tutto l’impero grazie alle sue doti di mediatore (è un imperatore molto accomodante, bastava togliere qualche tassa), assicurando un periodo di relativa tranquillità all’impero, questa sua politica mediatrice lo portò necessariamente a visitare molti luoghi (era infatti una grande viaggiatore), in particolare in oriente ed in particolare in Egitto. La sua attività di viaggiatore lascia una testimonianza evidente nella scelta dei nomi che attribuì alla varie parti della villa che finanzia direttamente in una località nei pressi di Roma, ovvero lunga la via Tiburtina che collegava Roma a Tivoli. 
L’occasione del progetto nasce da motivi inizialmente pratici, in quanto la moglie possedeva una villa in quest’area e costituiva un’occasione per avviare questo progetto (che offriva vantaggi considerevoli in relazione alle qualità del luogo, in quanto si trattava di un territorio molto ricco di verde e di acqua, importanti per la villa che intendeva attuare), assieme a questi vantaggi c’era anche il vantaggio che era posta a breve distanza da Roma. Questi motivi inducono Adriano a progettare questo edificio al cui progetto si dedicò personalmente, infatti si vantava di essere esperto in architettura (sappiamo dalle fonti della sua presenza costante nel cantiere del Phanteon, nel tempio di Venere Roma). In questo progetto si trovò quasi come solo protagonista perché era già scomparso Apollodoro di Damasco (architetto del padre Traiano), probabilmente tagliato fuori dallo stesso Adriano (durante la costruzione del tempio di Venere Roma), dopo questo evento si trova come unico protagonista e le sue liti con Apollodoro rimasero nella mente dei costruttori della villa poiché il cantiere era attivo solo quando Adriano era a Roma, quando era lontano le maestrenze si guardavano bene dall’intervenire sull’opera perché temevano le reazioni dell’imperatore (si dice che l’imperatore fosse un’uomo fortemente collerico e vendicativo).
Questa circostanza ci consente di individuare la cronologia delle fasi edilizie della villa insieme ad un’altro elemento che aiuta a datare i monumenti; le fonti ci tramandano che i periodi in cui Adriano si trovava a Roma sono quelli compresi tra il 118 ed il 121, tra il 125 ed il 128 e tra il 135 ed il 135 (quindi su quasi venti anni di regno circa 9 gli trascorse a Roma), queste date della sua presenza peraltro coincidono con i bolli laterizi impressi nei mattoni che vennero impressi nella strutture della villa di Adriano (i mattoni venivano costruiti per iniziativa statale e su alcuni di essi veniva impresso il nome dell’imperatore che governava in quel momento). 
Sicuramente la prima fase, quella tra il 118 ed il 121 d.C., è dedicata alla ristrutturazione della villa della moglie e segno indicativi di questo intervento si notano della diversità di muratura che caratterizza questa parte della villa, troviamo strutture in opera reticolata (quindi una struttura molto diffusa verso la fine dell’età della repubblica) mentre insieme con questa troviamo murature in opera mista realizzate con nucleo di opus caementicium, rivestito a fasce di opera reticolata e di mattoni; l’opera mista è tipica del momento storico legato dell’età degli Antonini (Traiano, Adriano ed Antonino Pio, durante il reggno di questi imperatori, tra il 98 ed il 161, l’opera mista è la più utilizzata per gran parte dei monumenti romani).
La seconda fase è legata alla costruzione delle strutture centrali mentre le terza riguarda la costruzione del Senapeo e del Canopo (le costruzioni con cui si chiude questo episodio architettonico).
Vedremo guardando l’insieme come le varie parti assumono diverse denominazione che sono luoghi visitati da Adriano (come il Tempe, Pecime, che desume dall’astoà Pecime della agorà greco ellenistica, oppure Canopo, che è una città dell’Egitto o il Senapeo, che è il nome dei luoghi dedicati a Serapide; questi nomi tuttavia non hanno una corrispondenza diretta con il luogo che prende il nome, i riferimenti della villa sono immaginari, non c’è un riferimento architettonico diretto).
L’insieme della villa è costituita da parti che occupata un’area di 66 ettari di area costruita, mentre insieme alle aree verdi arriva a circa 130 ettari, un progetto di grande portata (si sviluppa in larghezza più di mezzo chilometro ed in lunghezza più di un chilometro) che colpisce ancora di più se si considera che esiste una villa sotterranea con tutta una serie di criptoportici che garantisce collegamenti diretti da una parte all’altra della villa, frequentati da domestici per provvedere ai bisogni della famiglia imperiale.
Ci troviamo dinnanzi ad una struttura nella quale possiamo trovare una serie di assi convergenti o molto diversificati, ad una analisi più attenta è possibile intravedere una serie di legami che ci aiutano, d’altra parte il disorientamento è legato all’orientamento dell’epoca, ovvero la volontà di creare una architettura ricca di prospettive diverse, affidando il tutto alla grande abilità dei costruttori che dominano le tecniche costruttive sono ormai in grado di creare opere grandiose (sono trascorsi solo 30 anni dall’esperienza della doms Flavia ma sono cambiate molte cosa da questo punto di vista).
Possiamo individuare una parte più antica che corrisponde alla parte repubblicana, collocata in corrispondenza della zona d’ingresso, vicino alla via Tiburtina; il tetro marittimo ci permette di passare dalla parte antica a quella più moderna, collocato in modo da disimpegnare il Pecile (che ricorda un’ippodromo e tale era, con al centro una grande vasca d’acqua), per poi passare al palazzo imperiale (che altro non era che la parte pubblica, dove riceveva i palazzi più importanti), si passa poi alle piccole e le grandi terme (le prime destinate alle donne e le grandi agli uomini) ed infine una struttura che si chiama Piazza d’oro, una sistemazione defilata ma di considerazione notevole (costruzioni della seconda fase); questo percorso è più o meno cronologico. 
La villa fu quasi disabitata e dimenticata dopo Adriano, diventò una stalla fino all’800 e poi c’era stato un tentativo di recupero durante il Rinascimento, con l’unità d’Italia l’opera di ripristino è stato notevole.
Partiamo quindi dalla parte repubblicana, è quella che Adriano restaura e certamente concentra la sua attenzione sul settore di ingresso e sulla facciata che era particolare per la sua configurazione poiché la parte centrale che è poligonale (che richiama quello della domus Aurea di Nerone, solo che qui l’impianto è originario come avveniva in età repubblicana, mentre quella di Nerone è una riproposizione). Adriano trova questo ingresso mistilineo tipico delle ville repubblicane e lo esalta attraverso la costruzione di due edifici laterali che sono la biblioteca greca e latina (le cui parti inferiori erano probabilmente di età repubblicana mentre il resto era di età adrianea, come si vede dall’utilizzo dell’opera mista e dall’utilizzo di grandi volte a crociera che coprono gli ambienti); probabilmente erano dei luoghi di soggiorno, come dimostra la presenza dei troclini (per questo si pensò inizzialmente che questi spazzi fossero posti i libri, probabilmente si trovavano dei letti aperti su finestre), opera di adriano si vede nelle volte a crociera e nell’opera mista.
Attraverso due piccole strade si arriva ad uno spazio retrostante chiamato cortile delle biblioteche (che per l’utilizzo del marmo e delle decorazioni si può far risalire ad un’intervento di Adriano) e queste due strade separano un’ambiente centrale rivolto il cortile, questo non era altro che un ninfeo (con pareti decorate con incrostazioni e diventava un luogo di sosta, che i romani chiamavano “oecis” a cui dedicano molta attenzione).
Attaccata alle biblioteche si trovava la zona di ingresso, esistente già nell’età repubblicana, l’intervento di Adriano si limita come detto alle parti alte e nell’utilizzo delle volte a botte (che creava dei problemi statici che però erano ormai superati, poiché le due volte generano delle spinte verso un terrapieno); questa zona si collega mediante delle scalette ad un’area chiamata Hospitalia (costituiti da un corridoio centrale, affiancato da cubicola concluso da una sorta di santuario con una parete modulata a nicchie nelle quali si trovavano le statue della famiglia imperiale), che altro non è che un corpo di guardia dove sostano i centurioni che fanno da guardia alla villa. 
A partire dal cortile delle biblioteche, attraverso una serie di scale si arriva alla zona privata dedicata ad Adriano, sempre di età repubblicana ma viene riadattata.
Abbiamo visto come il restauro da parte di Adriano dell’antica villa repubblicana fosse direttamente riconoscibile dalle differenze strutturali che si notano osservando le differenze di opera e nella modifica dei sistemi di copertura che vedono ormai il trionfo della volta a crociera e di quella a botte (sia nell’ingresso, negli hospitalia e nelle biblioteche).
Proseguendo il percorso dietro le biblioteche esisteva il cortile delle biblioteche che era direttamente in collegamento attraverso due vie strette che delimitano un ninfeo; un cortile porticato dal quale si giunge in una zona che fa perte del settore repubblicano e che viene rimodellato da Adriano per farne una zona riservata a se, dove poteva studiare e riunirsi con i suoi collaboratori in un ambiente che abbiamo chiamato basilica (ripetuta da quella dei flavi, tipica anche di altri palazzi imperiali); 
questo settore riguardava alcuni ambienti (in particolare) con un peristilio sovrastante il primo, sul quale si affacciava un’altre biblioteca e la basilica, anche se era schermato dai volumi delle due biblioteche; di seguito salendo una scala ci si trovava un grande slargo con in fondo tre ninfei giustapposti (coperti da semicupole), creando una quinta architettonica; a fianco si trovava un’altra zona privata con dei cubicola e da questa zona si poteva passava attraverso una struttura colossale (a semicupola) per arrivare alla vera villa costruita da Adriano, questo lo notiamo immediatamente perché da questo momento non si trova più opera reticolata ma tutte strutture in opera mista; superata la grande semicupola si ci trovava di fronte ad un’altro grandioso ninfeo a gradoni (il più grande della villa) che è costituito da un poticato antistante, una vasca di raccolta e un piano inclinato costituito da una sequenza di gradini dai quali scendeva l’acqua. 
Da questo punto si può andare a destra che segna l’ingresso alla parte residenziale ufficiale, che è preannunciata da una struttura chiamata cortile dei pilastri dorici, mentre proseguendo diritto attraverso una stradina si va alla piazza d’oro. 
Vediamo prima il cortile dei palazzi dorici, schematicamente la sua funzione era quella di antisala al palazzo imperiale pubblico, cioè era un zona nella quale Adriano riceveva ospiti per cerimonie più private dedicate a persone al lui più vicine; questa mini-corte viene costituita da una corte di ingresso peristiliata (pilastri in mattoni con copertura di marmo e trabeazione dorica) e questo grande deambulatorio era tutto coperto da una volta a botte continua; si tratta quindi di una soluzione grandiosa ed anche interessante dal punto di vista costruttivo perché la volta a botte poggiava sul muro perimetrale (permettendo un’efficace controbilanciamento delle spinte della volta), mentre l’altro lato poggiava sul peristilio (quindi una parete diaframmata e apparentemente non sufficiente a vincere la spinta), per ovviare a questo inconveniente si inseriscono delle barre di ferro nell’architrave (come aveva fatto Mnesicle nei propilei), in maniera tale da rendere rigida la struttura, riuscendo ad ottenere una architettura libera. 
La parte centrale era libera, anche se alcuni avevano ipotizzato una copertura a vetro retta da una struttura metallica, ma i pareri sono controversi (il sistema costruttivo è abitualmente adoperato e Adriano durante i viaggi ne venne a conoscenza e lo usa in questa sede in maniera libera). Da questo cortile si arriva nella sala dove riceveva l'imperatore con il suo trono nella nicchia, e si arrivava attraverso 5 corridoi perpendicolari alla nicchia (due laterali più stretti ed uno più grande assiale), l’area del trono era circondata da una parete completamente diaframmata attraverso una serie di colonne unite da una architrave in alto, mentre l’ambiente dove stava l’imperatore era scoperto (come vediamo si tratta di una architettura molto libera).
Verso la piazza d’oro si trovano il piccolo ed il grande ottagono (poiché hanno una forma ottagonale ma sono importanti per le soluzioni architettoniche che sono state individuate), la grandiosità dell’impianto vede una piazza rettangolare di grandissime dimensioni (al centro una vasca ricca di acqua), il deambulatorio è costituito addirittura da due corsie poiché lo spazio interno e suddiviso da un’altra fila di colonne, infine dal muro continuo perimetrale emergono delle semicolonne che ritmano la parete di fondo (tutte queste colonne non sono tutte uguale in quanto cambiano le forme dei capitelli, i materiali e la articolazione dei marmi). 
Il cortile colpisce certamente per la sua grandiosità di impianto, ma certamente i due elementi che hanno attirato l’attenzione degli studiosi riguardano le soluzioni costruttive adottate nei due ottagoni; il padiglione di ingresso ottagonale è collegato alla parte repubblicana attraverso una stradine. 
Abbiamo visto sino ad ora strutture ottagonali nella domus Aurea e nella domus Flavia e abbiamo notato come questi ottagoni riescono a rimanere in equilibrio grazie al fatto che non è troppo sopraelevata e fiancheggiata da volumi che servono a controbilanciare la spinta della volta. Qui la novità consiste nel fatto che l’ottagono è emergente ed è libero da strutture vicine (si presenta con un grande impatto con ondulazioni di parete che in precedenza non si potevano avvertivano, perché fiancheggiate da altre strutture o interrate). Una realizzazione di questo genere non era facile da attuarsi in quanto poneva problemi statici seri, perché bisognava creare accorgimenti che si sostituissero all’azione di contraffortamento esercita dai muri esterni (sono passati soli 30 anni rispetto alla domus Flavia però le soluzioni sono completamente diverse), certamente c’è stata un notevole miglioramento delle tecniche (tanto che questo padiglione venne molto replicato, sopratutto nel mondo bizantino e rinascimentale).
Vediamo quali sono questi accorgimenti, innanzitutto all’interno della volta si trovano una serie di spicchi triangolari (sono otto) che formano una sequenza che gli assimila ad una sorta di ombrello e per questo la volta viene detta ad ombrello, una struttura di questo genere comporta sollecitazioni in corrispondenza degli agli angoli ed era qui che bisognava agire per creare un sistema costruttivo adatto (che non sono altro che gli angoli dell’ottagono); gli architetti romani intervengono cercando di rinforzare questi punti maggiormente sollecitati, lo fanno innanzitutto cercando di ispessire l’angolo degli ottagoni (aumentando la base di appoggio vi era più possibilità di far rientrare nel terzo medio l’azione di spinata e l’azione di peso), lo fanno aggiungendo nella parte interna una colonnina ad angolo e nella parte esterna una sorta di contrafforte non eccessivamente aggettante. Tuttavia questo soluzione non era di certo sufficiente, bisognava ancora trovare altri sistemi per aumentare la base in cui convergevano tutte le spinte, le soluzioni potevano essere due, ingrossare i muri oppure incanalare le spinte in determinati percorsi tali da indirizzarle verso l’esterno secondo le modalità che abbiamo conosciuto in altre costruzioni, la prima soluzione era da scartare (sarebbe stato come dichiarare la propria incapacità di fronte ad un problema, l’opera sarebbe costava molto, inoltre era un’eccessivo peso sul terreno), viene scelta la seconda via, per questa ragione vengono introdotti negli angoli degli architravi che attraversano interamente la struttura nell’imposta della volta, in questo modo la spinta che si esercita nel peduccio interno viene indirizzata verso l’esterno da questa trave (questo metodo viene sopratutto utilizzato nell’architettura termale), ma se all’esterno non c’è una controparte la struttura crolla lo stesso, quindi bisognava fermare la spinta all’esterno; per fare questo i romani usano un nuovo accorgimento, ovvero costruire una serie di arcate (che formano una serie di nicchie tutto intorno alla parte alta della costruzione) serrando la volta all’interno con questo anello che tende a raddrizzare la spianta verso il basso. Ma ancora non sarebbe stato sufficiente ad incanalare la risultante nel terzo medio se non fosse stato costruito sopra l’estradosso della volta una serie di gradini che non hanno funzione pratica ma solo quella di appesantiscono la struttura, in maniera tale da raddrizzare la risultante, questo apre la via ad una serie di prospettive straordinarie (sarà un sistema che utilizzeranno i bizantini, non ci sono differenze costruttive, non a caso nell’architettura gotica i pinnacoli servivano anche per fare peso, nel caso del gotico invece c’è l’arco rampante).
Attraverso questo congegno si riesce a risolvere un problema che libera il volume da tutte le strutture intorno, un risultato straordinario per il tempo (che permette una lettura simultanea dell’edificio, anticipando modi compositivi dell’architettura romanica e medioevale).

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